Vivere in un paese sardo, impressioni di dicembre

camminare per viuzze buie

Questo paesello è di anno in anno più triste.
Le strade si fanno più buie, le persone che camminano a piedi si contano sulle dita di una mano.
Mi rifiuto di usare la macchina per fare 1 km di strada, così mi incammino lungo la strada principale, direzione montagna.
Se un tempo i lampioni per strada diradavano una luce giallognola, oggi molti rimangono direttamente spenti. Ci sono tratti di strada che sono illuminati solo dai fari delle auto.

Mancano due settimane a Natale, e invece del via vai per negozi, noto sempre più saracinesche abbassate. Sopravvivono solo alcuni storici negozi, quelli che ancora riescono a mantenere una certa utilità per la gente del paesello.

Il fotografo che si occupa delle comunioni e delle cresime.
La fioraia, per la decorazione della casa e i bouquet matrimoniali.
Il bar dei giovani, l’unico rimasto sulla via principale.
Il bar degli ubriaconi, quello con le slot machines e un tizio che sta sulla porta a guardare chi passa.
Il pizzettaro, che non riesco a capire come faccia a rimanere aperto, è sempre vuoto.
Ha chiuso l’unica gelateria.
Il cartolaio da cui ci rifornivamo noi adolescenti degli anni ’90 ha una vetrina spoglia e poco invitante. Era da lui che andavamo non solo alla riapertura delle scuole, ma anche ogni volta che c’era da comprare un regalo per un compleanno. I diari con le copertine rigonfie, i poster, una scelta infinita di penne colorate, i suppellettili inutili ma luccicanti, i peluche e gli orologi da parete. Facevamo sempre una lunga fila alla cassa.
Alcune di quelle cianfrusaglie sono ancora qui, davanti a me, incastrate fra i libri nella mia camera da letto di ragazzina.

Passo di fronte al parco pubblico, quello che negli anni ’80 era terra proibita e pericolosissima. I cespugli  nascondevano le siringhe abbandonate dai disperati che si nascondevano qui per bucarsi.
Poi, durante la mia adolescenza, la rinascita. L’emergenza eroina sembrava accantonata, le comunità di recupero pullulavano di ex giovani degli anni ’80 e noi, nuove generazioni, ripopolavamo quella terra di nessuno con lo scalpiccio delle nostre Dr. Martens.

Avevo 15 anni e mi sembrava che lì, in quei gruppi chiassosi di studenti del liceo e delle scuole del circondario, ci fosse il mondo.
A 16 anni iniziavo già a scalpitare e a preferire le adunate nei garage, quelle che risuonavamo di musica metal e sapevano di fette di torta. Eravamo pochi ma sognavamo in grande, come tutti gli adolescenti, credo.

Passo di fronte al parco pubblico che ora è desolatamente vuoto. Quei lampioni alti e bianchi non fanno altro che segnare l’ombra delle palme sul cemento. Nessuno si ritrova più qui. Tutti preferiscono usare l’auto, probabilmente incontrarsi al centro commerciale fuori dal paese o in qualche bar.
A camminare per strada sembra si faccia troppa fatica.

Ma prendi la macchina! Perché vuoi per forza uscire a piedi, con questo freddo?

mi chiede mia madre.
Devo veramente fare non più di 1 km, e stasera la temperatura è molto mite.
Quando arrivo in cima al paesello, nel centro storico ai piedi della montagna, sono quasi accaldata.

Salire in auto fin qui su mi rievoca l’incubo delle strade strette, dei clacson della gente impaziente —sì, in un paese di poche anime, la gente al volante è comunque impaziente — le manovre contorte per cercare un parcheggio, i graffi al paraurti.

Non mi piace guidare dentro il paesello. Non ha proprio senso, in realtà.

È comunque il posto in cui hai passato dei momenti belli della tua vita

mi scrive il Guerriero, in risposta a una mia frase scoraggiata del tipo “ricordami perché sono tornata per così tanti giorni di seguito“.

Ha ragione, e ancora ce ne sono di momenti belli, quando torno. Ma si verificano soprattutto dentro le mura di casa dei miei, dove vengo accolta dal profumo di legna che brucia. La cucina con il camino è il mio posto preferito, forse l’unico luogo per cui vale ancora la pena tornare.

Già uscendo da quel perimetro, già entrare nella mia camera da letto di ragazzina, mi blocca la gola.
È comunque il posto in cui ho passato momenti belli della mia vita, ma anche il posto da cui ho sempre voluto scappare.
E come me, evidentemente è valso lo stesso per moltissimi altri, visto che di miei coetanei se ne vedono veramente pochi in giro.

Siamo una generazione di paesani sparsi per il mondo; in questo periodo arrivano le notizie dei figli di che tornano per Natale, o mandano i saluti da zone remote della Terra in cui hanno trovato fortuna.
Siamo una generazione di paesani che ha deciso di andare via, e quando torna si rinchiude nelle cucine di casa, dove scoppietta il fuoco, dove si passano serate di chiacchiere con la nostra famiglia, ma con la testa verso il mondo a cui apparteniamo ora.

Ho passato momenti belli qui, sì, ma sono passati. E non mi sento più veramente a casa da queste parti.

digito mentre attraverso la piazza di chiesa.

—⭐︎—

Credits: Photo by Pablo Heimplatz on Unsplash

14 Replies to “Vivere in un paese sardo, impressioni di dicembre”

  1. ingegnerina says: Reply

    Mi hai fatto quasi venire le lacrime agli occhi…

  2. Che malinconia. Penso sarebbe molto diverso tornare se potessi ritrovare intatto il mondo del passato. Ma se tutto sembra tramontato, se veramente l’unico conforto sono le mura di casa, zeppe di ricordi, capisco che si desideri tornare alla vita…

    1. Si, è molto malinconico, sarà che anche l’inverno non aiuta! Il paesello è tramontato in ogni caso, questo purtroppo sì, siamo andati via in tantissimi.

  3. Gnoma Irma says: Reply

    Sensazione che capisco in pieno. Ma è bello tornare, ma ha un che di bello anche rendersi conto che non si fa più parte di quel mondo. Vederci bambini e sorridere di come eravamo. Sempre rimanendo ad un passo di distanza, così da non sentire l’eco dei momenti più tormentati vissuti in quei luoghi.

    1. Sono d’accordo, farmi inglobare dalla malinconia non è esattamente una mossa azzeccata 😉 Meglio mantenere la sana distanza di cui parli!

  4. E’ quello che provo anche io, in un paesello diverso ma simile. Non e’ che forse e’ quello che proviamo tutti, espatriati e non, quando pensiamo alla nostra infanzia/adolescenza? Io per dire penso a tutti I momenti bellissimi dei miei 15 anni, ma la verita’ e’ che, nostalgia a parte, I 30 sono molto molto meglio…

    1. Oh si, sicuramente fa molto la nostalgia di quei tempi passati, delle grandi speranze che avevamo per il futuro, e il ricordo di tutto quello che c’è stato prima di arrivare ai 35 anni di oggi. Credo che, nel mio caso, l’intristimento progressivo del paesello sia in contrasto con il come mi sento io. Mi sento curiosa, entusiasta della mia vita; e tornare qui, in un posto che sembra stia perdendo proprio la voglia di vivere, mi immalinconisce un sacco. Comunque, anche solo fare qualche km e cambiare aria già cambia la prospettiva 🙂

  5. Mi ritrovo moltissimo in quello che hai scritto. Vengo da un paesino nella profonda provincia del viterbese e ho sempre avuto la claustrofobia di quel posto. Fondamentalmente, ho sempre sognato di fare la vita che faccio adesso, vivendo all’estero e viaggiando ogni volta che ne ho la possibilita’. Torno soltanto per rivedere i miei genitori, perche’ di nostalgia per il paesino non ne ho davvero.

    1. Esatto, claustrofobia è il termine esatto! 🙂

  6. Uno dei post più belli che io abbia mai letto, molte delle sensazioni che sono comuni tra i miei coetanei che sono rimasti nella mia città natale (che non è un paesello, ma insomma, tanto è cambiato col fatto che quasi tutti sono andati via).

    Un bacio grande e Buon Natale in anticipo!

    1. Ma grazie cara
      forse è un po’ la storia di noi “emigrati”, sia che veniamo da paeselli che da cittadine più grandi. Quando un’intera generazione inizia ad andar via in massa, beh, inevitabilmente si creano dei vuoti nei posti che ci hanno visto crescere.
      Un abbraccio e buone feste anche a te!

  7. Paola Buscema says: Reply

    Mi ritrovo tanto nelle tue parole. In questo periodo, tipo Natale e anche l’estate, ho una grande voglia di tornare a casa, stare con la mia famiglia, rilassarmi nella mia comoda e accogliente stanza, ma dopo un paio di settimane mi sento soffocare, cosa che mi succedeva quando ero un’adolescente, ho sempre voluto scappare dal mio paesino. Ogni volta, la stessa storia, trovo sempre tutto più triste e peggiorato e mi viene la tristezza a immaginarmi in quel paesino chiuso di mente e senza prospettive. Ma io purtroppo ho anche un legame in quel paesino che mi costringe a pensare che un giorno o l’altro dovrò ritornare. Premetto che anch’io sono entrata nei 30 ma non ho ancora voglia di fermarmi. 🙂 Un saluto e buone vacanze.

    1. La regressione alla fase “adolescente” quando stiamo a casa dei nostri genitori è un altro dato di fatto! 😀 Ne avevo scritto tempo fa: https://www.trentanniequalcosa.com/vita-da-emigrante/macchina-del-tempo-figli-adolescenti/

      Buone vacanze anche a te e grazie per il commento! 🙂

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